“La psicodiagnostica è un sistema concettuale che articola altri due sistemi concettuali: quello della psicopatologia e della psicoterapia. Essa è prima una cerniera concettuale che diventa poi, una cerniera operativa, che si esprime in una serie di tecniche idonee, posto un problema, a prendere una decisione.”
Carlo Saraceni

La valutazione psicodiagnostica è un processo strutturato di conoscenza e comprensione del paziente che consente di ottenere informazioni sulla natura, l’entità, ed eventualmente le cause della problematica presentata. Tale processo si avvale fondamentalmente di due strumenti metodologici: il colloquio psicologico e i test psicologici.
Attraverso il colloquio psicologico vengono accolti ed esplorati i vissuti, la storia e i problemi della persona, con lo scopo di individuare, all’interno della sua storia personale, i fattori intrapsichici, relazionali, familiari e biologici, che possono aver contribuito all’insorgenza del disturbo o della condizione di sofferenza lamentata.
La diagnosi psicologica non si limita al riconoscimento ed alla classificazione dei sintomi o all’inquadramento di una malattia (come avviene in ambito medico) ma, tenendo conto della complessità e dell’unicità di ogni individuo, si propone di giungere ad una comprensione psicologica che passa necessariamente attraverso la condivisione emotiva e cognitiva di aspetti profondi di sé.
L’utilizzo dei test psicologici completa ed integra le informazioni raccolte durante i colloqui, permette la valutazione di funzioni o caratteristiche specifiche di personalità e consente di avere in tempi relativamente brevi, una conferma o disconferma delle osservazioni cliniche.
Il processo diagnostico si struttura, inoltre, in funzione della sua finalità.
All’interno di un contesto clinico la diagnosi funge da guida e da criterio pragmatico sulla fattibilità del trattamento e si configura come proposta di un progetto terapeutico: approfondendo la conoscenza relativa alle proprie caratteristiche personali, relazionali e contestuali, il paziente è posto nella condizione di prendere autonomamente delle decisioni e operare delle scelte che facilitino la realizzazione dei propri bisogni e delle proprie aspirazioni.
La diagnosi non è “un’etichetta” che si appone al paziente, ma una descrizione dinamica di una modalità di funzionamento, sempre passibile di cambiamento nel tempo.
ll processo diagnostico
Inizialmente però dobbiamo dire che il processo di valutazione in psicologia clinica non includeva la quantificazione obiettiva e riproducibile degli aspetti psicopatologici. Descrizioni acute ed interessanti ma caratterizzate da estrema variabilità individuale contraddistinguevano lo stile di comunicare sui fenomeni psicopatologici tra clinici e ricercatori (Faravelli, 2004). E’ solo tra la fine degli anni ‘50 e l’inizio degli anni ‘60 che va emergendo il bisogno di sviluppare strumenti di misurazione obiettivi e standardizzati sia di gravità che di cambiamento dello stato psicologico come reazione all’atteggiamento prevalente in quegli anni, che, ispirato dalla fenomenologia e dalla psicoanalisi, caldeggiava la mancanza di riproducibilità come principio basilare nella studio della psicopatologia (ibidem). E’ da allora che la psicologia clinica moderna attribuisce notevole importanza all’uso di strumenti di misurazione e di valutazione che si fondino sui principi di validità ed attendibilità.
Il processo diagnostico in psicologia clinica
“La psicologia clinica è la disciplina che si avvale dell’insieme delle conoscenze, in ambito psicologico, che permettono di valutare l’adattamento dell’individuo all’ambiente, sia normale che patologico, e di usufruire di queste competenze per migliorare la relazione dell’essere umano con il proprio contesto di appartenenza”
Sanavio, Cornoldi 2001.
Jervis (1993) afferma che la psicologia clinica non si occupa solo della sofferenza dell’individuo e della sua terapia, ma il suo campo d’azione può essere esteso “a tutte le relazioni di valutazione, di intervento e di aiuto”.
Nel 1896 Witmer, sottopone all’American Psychological Association un nuovo metodo di ricerca e insegnamento che chiama “metodo clinico in psicologia e metodo diagnostico di insegnamento”, definendo la psicologia clinica: “ La psicologia clinica è costituita dai risultati dello studio, uno ad uno, di molti esseri umani, il metodo analitico permette di discriminare le capacità e i difetti mentali, dà luogo, attraverso una generalizzazione successiva all’analisi, a una classificazione ordinata dei comportamenti osservati ” (Korchin, 1976).
Il termine “clinico” utilizzato da Witmer deriva dal greco kline che indicava in senso letterale il “letto”. Il termine ha assunto una connotazione prettamente medica che richiama infatti l’immagine del medico chino sul letto del malato e, quindi, alla condizione di sofferenza di un individuo che ha bisogno di aiuto.
Nel 1945 Otto Fenichel, nel suo “Trattato di psicoanalisi delle nevrosi e delle psicosi” afferma che: “Non esiste una psicologia dell’uomo in senso lato, bensì soltanto una psicologia dell’uomo in una società determinata, e in una certa situazione sociale all’interno di quella determinata società” quindi si và concretizzando sempre di più l’importanza del ruolo della cultura nella strutturazione della personalità.
“La diagnosi è l’organizzazione critica dei dati osservati ed evocati allo scopo di prendere una decisione”.
Saraceni, Montesarchi 1988
La parola proviene dal greco dia-gnosis che significa “conoscere attraverso”; quindi la psicodiagnosi comporta un percorso di “conoscenza attraverso la psiche” nel senso complessivo di coinvolgimento della psiche sia dell’operatore che del soggetto che è sottoposto alla valutazione; quindi, l’obiettivo della diagnosi è la conoscenza approfondita dell’individuo lungo molteplici dimensioni.
Fare diagnosi, infatti, è uno dei compiti più importanti di un clinico; senza diagnosi, qualsiasi tipo di trattamento è casuale, privo di basi scientifiche e non valutabile. L’intervento professionale, invece, deve essere chiaro, fondato scientificamente, condiviso e trasmettibile in modo da facilitare la comunicazione tra i diversi professionisti del settore. La diagnosi psicologica nasce dall’empatia e dalle regole. L’empatia implica che è fondamentale la capacità dell’operatore di percepire emotivamente ciò che il cliente prova e contemporaneamente di sospendere questo coinvolgimento per tornare ad osservare, diagnosticare ed interpretare.
Un’altra componente importante della diagnosi è costituita dalle regole del setting e dall’individuazione di costanti nella definizione della valutazione diagnostica.
In ambito clinico i tipi di diagnosi (Labella, 2001) sono:
La diagnosi categoriale prevede due livelli di complessità:
- per inclusione-esclusione;
- per inquadramento nosografico clinico.
La diagnosi dinamica prevede tre livelli di complessità:
- dinamico interpretativa o descrittiva, legata al sintomo;
- dinamico processuale o di stato, legata alle funzioni;
- dinamico strutturale o di psicopatologia, legata alla personalità.
Le manifestazioni indicano il livello su cui si opera, cioè il rilievo diagnostico determinato dall’analisi della domanda dell’utente o dalla richiesta del committente e che sono caratterizzabili come: disagio, problema, sintomo, sindrome e patologia.
- Il disagio o problema si riferisce al contesto di vita del paziente; è importante capire, nel momento in cui si affronta il problema, quale sia il disagio manifestato dal paziente all’interno del suo contesto di vita.
- La sindrome è espressione di una condizione reattiva, condizione che è stata generata da una rottura dell’equilibrio adattivo. È, quindi, una situazione che è possibile cogliere e caratterizzare per intervenire e quindi risolvere. All’interno della sindrome si possono definire qualità e contenuti prevalenti dei sintomi.
- La patologia coincide con la dimensione dell’oggettività della malattia valutata dal tecnico, a prescindere dalla richiesta o dalla consapevolezza del paziente ed è legata all’organizzazione strutturale della personalità, ad una trasformazione o evoluzione che si differenzia dalla sindrome in quanto espressione di psicopatologia strutturale.
Per ambiti di valutazione si intende l’area di approfondimento nel lavoro d’indagine durante l’esame psichico specifico:
- si colloca il disagio e il problema nella storia del paziente; l’obiettivo è cogliere le determinanti del contesto e si attende una risposta con un intervento mirato;
- si studiano le organizzazioni delle aree funzionali;
- si caratterizza e definisce lo stile, i tratti della personalità.
- le aree funzionali sono valutate rilevando come sono organizzate dinamicamente tra loro, come si distribuiscono a livello di energie.
Lo stile, è costituito da ciò che caratterizza la persona, il suo modo di porsi rispetto alle situazioni, ai problemi, agli eventi nuovi.
Quanto sopra per sottolineare quanto possa essere importante una valutazione psicodiagnostica prima di iniziare una terapia sia per il terapeuta che per il paziente.
“L’iter che il paziente percorre insieme al clinico allo scopo di rilevare l’ampiezza e l’entità del/dei disturbo/i lamentato/i, attribuire loro un significato (diagnosi) e individuare le possibili strategie cui avvalersi per ridurre, modificare o eliminare, laddove è possibile, la causa che provoca la sofferenza che il paziente stesso e/o i suoi familiari lamentano”
Lang, 1996.
Dott.ssa Signorini Sabrina